giovedì 29 marzo 2012

Prova costume 2012: io speriamo che me la cavo


Io sono tra quelle che preferiscono la pizza con la mortadella ai macarons, premettiamo. E sono anche tra quelle che, tutto sommato, non si possono lamentare del proprio metabolismo.
E, ancora, sono tra quelle a cui pesa andare in palestra.
Ma l’estate si avvicina e non possiamo (io e quelle) più contare sui pull extra large e i piumini che nascondono. Ok, ma tra pochi giorni è Pasqua (frase già detta a Natale con riferimento a gennaio), perciò di Dukan, zumba e passeggiate se ne riparla mercoledì 11 aprile (perché c’è uno studio, sicuramente affidabilissimo, che sostiene che il martedì è il giorno della settimana sbagliato per iniziare una dieta).


Eppure, se da un lato noi, sempre io & quelle, riconosciamo i nostri errori e almeno ci proviamo a essere magre, dall’altro siamo bombardate da siti, blog e riviste che vogliono farci credere nel ritorno delle curve. Ma chi vogliono prendere in giro? Ancora con questa finta battaglia e poi la taglia più grande è la 44, diventata, negli anni, una 42.

E le sfilate? E le riviste di moda? Poi però anche le cover parlano di Belle Vere. Apprezzo tanto lo sforzo, ma non ci credo più e i fatti me lo dimostrano ogni giorno. E su questo argomento, non fidatevi neanche del giudizio degli uomini (quando mai, d’altronde?). Ragazze, qui i tempi sono più lunghi di ventordici semestrali in palestra, ci conviene! 

lunedì 26 marzo 2012

Must have p/e 2012: la Candy Brissima di Furla


Ricordate il bauletto-icona di Furla in pvc della scorsa stagione? Ecco, per questa p/e 2012 si è vestito a nuovo. 
Fiocco rosa in casa Furla, è nata la Candy Brissima, special edition frutto dell’interpretazione della designer Sissi. 
Figlia di un diario di viaggio alla scoperta del Mediterraneo e protagonista assoluta dell’istallazione-performance “Changeble-Identity”,il nuovo simbolo della maison Furla sta facendo impazzire le fashion addicted di tutto il mondo. 


La Candy Brissima è basata su un gioco di creatività che consente accostamenti azzardati, mix ‘n match tra gomma e boa di struzzo, gomma e midollino o alluminio ultra leggero e colori che ricordano la natura, l’azzurro del cielo, il nero e bianco degli scogli e i toni caldi della terra, rosso, giallo e miele. Il risultato? Un’opera d’arte che si porta a braccetto. Lo scopo? Mescolare stati d’animo e emozioni. 


La nuova Candy, poi, è così egocentrica da essere in tour. E’, infatti, il soggetto dell’installazione che sta facendo il giro del mondo: il set consiste nei punti vendita più rappresentativi delle città più cool e la scena è una sorta di catena di montaggio in cui quattro performers assemblano la it-bag con diversi elementi progettati precedentemente da Sissi. Dalla combinazione di ogni dettaglio, tinta e materiale prende vita una galleria sorprendente di Candy Brissima. 


Il 16 marzo scorso la performance-installazione “Changeble Identity” ha fatto tappa a New York, da Bloomingdale’s, tra lo stupore generale degli spettatori-clienti, e il 19 aprile il set d’eccezione sarà La Rinascente di Milano. Il tour si concluderà a Hong Kong il 18 maggio. Per conoscenza, Sissi è una giovane bolognese che ha vinto il premio Furla per l’arte nel 2002 e che ha già collaborato con il brand nel 2010. L’artista lavora da sempre con la scultura e le installazioni e, nel suo rapporto con la moda, tende ad esaltare costantemente la manualità e la fattura artigianale degli abiti.
Check it out!




venerdì 23 marzo 2012

Se rinasco, chiamatemi Diane, Diane Vreeland


“L’eleganza è innata, non ha niente a che fare con l’essere ben vestiti”. Ipse dixit Diane Vreeland, figura leggendaria nel mondo della moda e dell’editoria. Nata a Parigi nel 1903 fece la sua fortuna a New York, dove inventò il lavoro di fashion editor. Scoperta casualmente da Carmel Snow, capo redattrice di Harper's Bazar, mentre ballava al St.Regis vestita in Chanel, ha lasciato un segno indelebile nella storia. Iniziò la carriera giornalistica come autrice della rubrica “Why don’t you” su Harper’s Bazar e nel 1962 approdò alla direzione di Vogue America. Ma era troppo brava e autoritaria, attirava troppe invidie e così, dopo nove anni, venne licenziata. Lasciato il giornalismo, fu assunta come Special Consultant per il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York per cui realizzò una serie di importanti esposizioni. Ma DV non è stata solo un’icona fashion. Non era bella, eppure sprizzava eleganza da tutti i pori e soprattutto aveva un modo di raccontare la moda che, per quei tempi, era scandaloso e controcorrente. Indossava i suoi golf al contrario perché sosteneva che le donassero di più e considerava il bikini l’invenzione più importante dopo la bomba atomica. Imperatrice dello chic, Papessa della personalità e dello stile, DV amava le bellezze poco convenzionali, i nasi pronunciati e i volti “anti classici”: ecco spiegata la fortuna di Twiiggy, Cher, Veruschka, Barbra Streisand e Benedetta Barzini.
In questi giorni e fino al 26 giugno,Venezia celebra Nostra Signora della moda Diane V. con una mostra a Palazzo Fortuny. Si tratta della prima grande mostra che l’Italia dedica al binomio moda-museo, in cui si potranno ammirare gli abiti indossati dalla Vreeland che hanno fatto storia. Per la prima volta in Italia saranno esposti al pubblico i capi di Givenchy e Yves Saint Laurent concessi dal Met, le creazioni firmate Balenciaga di proprietà del Cristòbal Balenciga Museum e i pezzi più rappresentativi della Fondation Pierre-Bergè-Yves Saint Laurent. In mostra anche abiti straordinari di Chanel, Schiaparelli, Missoni, Pucci e Valentino.
Enjoy!

lunedì 19 marzo 2012

SaturdayNightLiveLook: the winner is..Valentina F.


Nessuna serata come il sabato tira fuori il peggio dei nostri look. Vuoi per stupire, vuoi per sfogarci dopo il grigiore della settimana, assistiamo ogni weekend a cadute di stile da ergastolo. Ma siccome non me la sento di prendermi una querela sull'altra e non mi va di cominciare male questa settimana ripercorrendo gli orrori che ho visto durante il weekend, ho optato per una rubrica di #solocosebelle, postando il look più cool che ha colpito il mio sguardo attento, scrupoloso e anche un po' visionario, se volete.
Oggi sul mio personalissimo podio ho messo Valentina F., nemmeno 20enne ma con una verve da fare invidia a chi ne ha 30 e via, è la dimostrazione vivente che il Low Cost ( V. veste in quasi- total look H&M) a volte è sinonimo di High Quality. Colore fluo ma smorzato dai jeans, accessori giusti, in tinta, ma che non sovraccaricano, hairstyle impeccabile e make up invisibile. Sia lodato il cielo che tra queste nuove generazioni c'è ancora chi ha buon gusto e che interpreta il classico in chiave moderna.
Congrats!

giovedì 15 marzo 2012

“Lost in vintage” o semplicemente “lost” ?


Oggi mi sento in vena di fare qualche precisazione sul vintage. Ho notato una tendenza dilagante che mi obbliga a riportare qualcuno sulla retta via. Intendiamoci, nulla è più personale dello stile, e il mio vuole essere solo un puntino sulla i. Confondere un accessorio vecchio con uno vintage mi ricorda lo stesso fraintendimento tra un grigio antracite e un tortora: 
a big, big fail.
Partiamo dal presupposto che è una parola d’origine francese, e come tale si pronuncia con l’accento sulla “a”, per capirci. Se dite vìntage, english style, siete già fuori strada. Deriva dal francese antico vendange che indicava i vini d’annata di pregio. Oggi il suo significato non è cambiato di molto. Applicato all’abbigliamento, infatti, vintage si riferisce alla moda d’epoca. D’antan sì, ma non vecchio e basta.
Usato è usato, ma attenzione, il fatto che quel pezzo sia solo passato di mano in mano non lo rende vintage. Per essere tale, infatti, quel capo deve essere unico, nel senso di irripetibile per gli standard attuali e non alterato dal tempo trascorso. Ne consegue che, di norma, si parla di un abito o di un accessorio di altissima qualità che è rimasto integro dopo anni, un capo che, nell'ipotesi migliore, magari è stato il capostipite fortunato di collezioni e collezioni successive.
Per farla breve, un maglione di quando avevate dodici anni che si è conservato bene NON è vintage.
Bisous

lunedì 12 marzo 2012

Il lunedì ispira negatività. Let's talk about TRUST!



Difficile iniziare la settimana con pensieri positivi, quindi oggi mi sento in vena di sviscerare un tema pesante quanto il lunedì mattina, la fiducia. Il mondo è bello perché è vario, si dice, ecco perché, anche in questo caso, le persone si dividono in diverse categorie. C’è chi si fida ciecamente di tutti, quasi fosse una propensione naturale ma poi, inevitabilmente, si pente e giura che cambierà. C’è chi non si fida di nessuno, a volte neanche di se stesso, ma poi passa le notti a farsi tremila domande per avere il consiglio giusto senza ricevere risposta se non dal suo ego. C’è chi si è fidato in passato e che oggi ci pensa due volte e infine c’è chi ha raggiunto la pace dei sensi e ha trovato finalmente le persone giuste. Io sono tutte queste entità tranne la prima categoria. Una volta si diceva che la fiducia fosse una delle poche cose che non si poteva comprare, ma forse non esisteva ancora la parola ricatto. Ci sono più individui loschi che pagano per mantenere un segreto dei nomi in lista per avere una Birkin.. Ma tornando alla quotidianità, di una cosa si è certi, che se la perdi una volta nessuno te la ridà indietro. In tutta sincerità mi sembra il minimo, a meno che non si stia parlando di gente poco smart o masochista. “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, saggezza popolare’s speaking, ma che vita è senza poter contare su qualcuno? Uno schifo. Eppure, essere traditi da un’amica, da un fidanzato o da un collega di lavoro fa più male di una coltellata e, mi dispiace, non vi scervellate, non c’è arma che possa ferire allo stesso modo. Ma è concepibile, allora, una vita sul chi va là? No, ma ce la possiamo fare. Diffidate da chi è amico di tutti, da chi vi dà sempre ragione, da chi non vi convince a pelle e da chi è recidivo. “Perdonare è bene, non fidarsi mai più è meglio”, Flavia’s speaking.
Amen

venerdì 9 marzo 2012

Icone: Inès de la Fressange


“Ci vuole stile. Per vincere e per perdere. Per ereditare una fortuna e per vederla scomparire. Per sposare un uomo e poi assistere alla sua morte. Per crescere una figlia bellissima e infine sentirsi una madre non più giovane. Ci vuole stile. Né bellezza, né gambe lunghe e nemmeno la famosa taglia zero. Stile.”. Passo tratto da “La Parigina – guida allo chic” di Inès de la Fressange. Lei è un’icona, il libro una Bibbia. Inès è nata nel 1957, figlia di un marchese e di una modella argentina nella vita è stata modella, manager, designer, moglie, vedova e madre di due figlie, e da poco è diventata anche scrittrice.
Musa di Karl Lagerfeld e volto di Chanel negli anni 80, oggi è ambasciatrice di stile per Roger Vivier fortemente voluta da Diego della Valle e testimonial L’Oreàl. Non ha paura di invecchiare Inès e al look griffato preferisce la “contaminazione”, mixare capi vintage con capi low cost o di alta moda. Non vestirebbe mai dalla testa ai piedi con lo stesso marchio e considera esempi di femminilità Audrey Hepburn e Ingrid Bergman perchè si sono sempre distinte per la loro sobrietà.
Ne “La Parisienne” c’è tutta l’essenza della donna parigina e dello stile “contaminato” che la contraddistingue, ma con l’Unione Europea possiamo tutte sentirci parisiennes, no?. Ecco allora che, per Inès, il vestito da sera andrebbe indossato con la borsetta di paglia e non con la pochette, con un semplice sandalo super flat effetto nudo al posto dei tacchi alti. Bisognerebbe osare il filo di perle della nonna su una T-shirt rock&roll e non su un tailleur e  indossare con disinvoltura gli stivali consunti da motociclista sotto un vestito di chiffon. Provare, ancora, a stupire di giorno con il collier di diamanti su una camicia jeans o accostare un pull di paillettes sui pantaloni da uomo.
Stimo Inès e consiglio a tutti il suo vademecum per parissiennes, ma per quel poco che può valere il mio di consiglio è che saper mixare è una gran dote, si può anche imparare se non la si ha nel proprio dna, ma cadere nel baratro del trash è un attimo. Quindi, se non siete sicure dell’effetto finale (perché non c’è niente di più avvilente che indossare un abito senza il mood giusto) non osate che è meglio. Ci sono tanti completini carini sui manichini delle vetrine! D’altronde, come dice Inès, lo stile prima di tutto..


mercoledì 7 marzo 2012

Due parole sui teschi. Anzi, una: basta.



Sarà un problema mio che mi annoio facilmente, ma non ci posso credere che le previsioni danno pioggia torrenziale di teschi anche per tutto il 2012. Non fraintendetemi, fighissimi, alzi la mano chi non ha nell’armadio una sciarpa Alexander McQueen style, una t-shirt o un braccialetto skull. Io l’ho alzata.
Qualcuno ha detto che “le mode hanno la tendenza a propagarsi verso il basso”. Ora alzi la mano chi pensa che non sia una verità. A me questa frase sembra più solida del caschetto con frangia della Wintour.
La skull mania è dilagata con la morte di McQueen, trovato impiccato nella sua casa a Londra l’11 febbraio 2010 (R.I.P.). Un lutto nel mondo della moda che si è tradotto nella massima esaltazione di quello che è diventato poi il simbolo del brand, la skull scarf (o la clutch). Se potessi, darei l’ergastolo a chi lo ricorda solo per quegli accessori. Ma a parte quest’ultima considerazione, i teschi di Alexander McQueen hanno fatto il botto vero, tanto da costringere gli altri stilisti ad assecondare questo trend. Tarina Tarantino, tanto per citare qualche nome, li ha impreziositi con swarovsky e glitter, Giuseppe Zanotti e Philipp Plein li hanno stampati e applicati sulle scarpe, Delfina Delettrez ha restituito loro, nei gioielli, l’aspetto macabro che li ha sempre contraddistinti, Prada ha reso il teschio il simbolo di un’intera linea di accessori uomo e l’artista inglese Damien Hirst ne ha addirittura tempestato uno di diamanti e esposto nei musei più famosi al mondo ( dal 4 aprile al 9 settembre le sue opere sono in mostra alla Tate Modern di Londra, ndr). 
Dopo di chè la skull mania è arrivata anche nei negozi low cost, nei mercatini e, a momenti, nell’armadio di mia madre.
Questa moda ha spopolato tra le star e tra le persone normali, ha investito le firme più prestigiose e quelle più economiche e ha reso più rockkeggianti i nostri look. Ma, come accade inevitabilmente per ogni trend, si arriva ad un principio di saturazione. Per me è arrivato.

lunedì 5 marzo 2012

“Ma li mortacci!!!”. Scusate, ieri ero al derby.



Ho imparato da poco chi sono i terzini e il quarto uomo, e ho avuto parecchie difficoltà a capire il fuori gioco. Ma sono una che si impegna: guardo la Domenica Sportiva tutte le settimane. Conosco la classifica dei marcatori di serie A e quella generale. Detto questo, lungi da me fare un commento tecnico sul derby di ieri, credo di aver scioccato abbastanza chi mi conosce da una vita con queste premesse e lungi da me, inoltre, fare polemica sui cori razzisti e il caos post partita, perché quelli si commentano da soli, purtroppo.
Ma io ieri c’ero. E per quanto il derby non sia finito come speravo lascio che i laziali festeggino, giustamente erano solo 14 anni che aspettavano questo momento. Ma chi non c’era, al di là della fede, si è perso comunque un bello spettacolo. 
Sì perché il derby non è una partita normale, è il non plus ultra e chi vince si prende Roma, mica La Quercia!
Otto cartellini gialli, due rossi, un rigore e due gol. Novanta minuti di palpitazioni. Curve infuocate. Tregua tra le tifoserie solo pochi minuti prima del fischio d’inizio per ricordare Lucio Dalla con “Attenti al lupo” – chissà dov’è andato sto lupo (giallorosso) poi durante la partita..
Dello stadio mi piace la tensione, che non puoi non respirare pure se ti importa poco, mi piace osservare tutta quella gente delirante che si unisce nei cori.
Mi fa ridere la confidenza che si prendono i tifosi, come se i giocatori potessero sentirli e mi fa ridere che dagli spalti tutti avrebbero fatto scelte migliori dell’allenatore. 
Trovo poi che gli striscioni delle curve siano geniali. 
A onor del vero, però, la coreografia più bella ieri ce l’aveva la curva nord, bisogna essere onesti - ogni tanto.
E mi piace ascoltare i commenti alla fine della partita, fuori l’Olimpico c’è sempre qualche invasato che inveisce con la poca voce che gli è rimasta e, non so perchè, quell'invasato è sempre un uomo di mezza età rigorosamente fumatore.
Ora, però, non chiamate la neuro, non sono diventata pazza. 
E non crediate che allo stadio mi trasformi in un’esaltata che bestemmia e insulta l’arbitro - questo non succederà mai - confermo solo quello che mi è sempre stato detto e a cui non ho mai creduto, che il calcio unisce e soprattutto emoziona.  

giovedì 1 marzo 2012

E' partito il countdown: -7 gg all’8 marzo.
La festa delle donne? Macchè, Marni for H&M!



Oltre al fatto che la mimosa mi fa starnutire, leggo che quest’anno ricorre il 101esimo anno di festeggiamenti della donna in Italia. Beh, questo allora sarà anche il 29esimo anniversario del mio non women party. E tutto sommato è anche il 28esimo anno che non possiamo andare a cena fuori per il compleanno della mia amica L. che, purtroppo, compie gli anni proprio quel giorno.
Ma consoliamoci amiche mie, quest’anno c’è un altro countdown che ci separa dall’8 marzo: la capsule collection limited edition di Marni for H&M. Los Angeles ha ospitato il party per il lancio della linea e, da Drew Barrymore a Milla Jovovich passando anche per Winona Ryder, tutti i vip hanno indossato le creazioni di Consuelo Castiglioni.
Alle eretiche che non abbiano già dato uno sguardo allo spot girato da Sofia Coppola nella magica cornice di Marrakech e alle immagini della collezione sul sito di H&M, dico che i tessuti hanno un sapore vintage e che le stampe ricordano l’Africa. 
Sì ai pois, ai tagli geometrici, ai mini dress anni ’70 e alle t-shirt fantasia. I colori predominanti sono il blu elettrico, il verde, il nero e l’oro metallizzato.
Accessori a non finire tra shopper floreali, occhiali da sole, sandali super flat o con tacco in legno, bangles colorati, lisci o con pietre, orecchini e collane strepitose con i fiori e colletti con macro paillettes – i pezzi cult della collezione, a mio avviso.
Ma come ogni collaborazione che si rispetti, il colosso svedese non dimentica l’uomo –low cost – Marni e lo contagia con rigore geometrico, a tinta unita ma esplosivo tipo il senape ma anche con righe e micro pois. Parka e mini gilet sono i pezzi forte della linea.
I prezzi vanno da 19.95 a 199 euro, come sempre, l’attesa è quasi finita ma c’è anche chi, come me, già pensa alla prossima collaborazione. Udite, udite, i rumors danno Tom Ford come prossimo candidato. Sembra infatti che Margareta Van den Bosch, direttrice creativa della moda pronta low cost, abbia definito l’affascinante stilista texano “un nome molto interessante”. Solo?