Sarà un problema mio che mi annoio facilmente, ma non ci posso credere che le previsioni danno pioggia torrenziale di teschi anche per tutto il 2012. Non fraintendetemi, fighissimi, alzi la mano chi non ha nell’armadio una sciarpa Alexander McQueen style, una t-shirt o un braccialetto skull. Io l’ho alzata.
Qualcuno ha detto che “le mode hanno la tendenza a propagarsi verso il basso”. Ora alzi la mano chi pensa che non sia una verità. A me questa frase sembra più solida del caschetto con frangia della Wintour.
La skull mania è dilagata con la morte di McQueen, trovato impiccato nella sua casa a Londra l’11 febbraio 2010 (R.I.P.). Un lutto nel mondo della moda che si è tradotto nella massima esaltazione di quello che è diventato poi il simbolo del brand, la skull scarf (o la clutch). Se potessi, darei l’ergastolo a chi lo ricorda solo per quegli accessori. Ma a parte quest’ultima considerazione, i teschi di Alexander McQueen hanno fatto il botto vero, tanto da costringere gli altri stilisti ad assecondare questo trend. Tarina Tarantino, tanto per citare qualche nome, li ha impreziositi con swarovsky e glitter, Giuseppe Zanotti e Philipp Plein li hanno stampati e applicati sulle scarpe, Delfina Delettrez ha restituito loro, nei gioielli, l’aspetto macabro che li ha sempre contraddistinti, Prada ha reso il teschio il simbolo di un’intera linea di accessori uomo e l’artista inglese Damien Hirst ne ha addirittura tempestato uno di diamanti e esposto nei musei più famosi al mondo ( dal 4 aprile al 9 settembre le sue opere sono in mostra alla Tate Modern di Londra, ndr).
Dopo di chè la skull mania è arrivata anche nei negozi low cost, nei mercatini e, a momenti, nell’armadio di mia madre.
Questa moda ha spopolato tra le star e tra le persone normali, ha investito le firme più prestigiose e quelle più economiche e ha reso più rockkeggianti i nostri look. Ma, come accade inevitabilmente per ogni trend, si arriva ad un principio di saturazione. Per me è arrivato.
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